problemi di autostima
L’autostima comprende: la soddisfazione di sé, l’intima consapevolezza del proprio valore e la fiducia nella propria capacità di svolgere un determinato compito. Stimare noi stessi significa non mettere in discussione la nostra importanza e, di conseguenza, essere capaci di assumersi responsabilità nei confronti degli altri. Il rispetto per noi stessi, per i nostri bisogni, emozioni, potenzialità, aiuta ad entrare in un rapporto costruttivo con gli altri. Se questo rispetto manca (bassa autostima), anche il rapporto con gli altri ne viene profondamente condizionato. L’autostima è una valutazione che la persona dà di se stessa. Tale valutazione varia tra due estremi: uno positivo e uno negativo. Chi ha bassa autostima sperimenta: una scarsa fiducia in se stesso e nel mondo; una difficoltà di ascoltarsi e di individuare obiettivi realistici e coerenti con le proprie aspirazioni; la tendenza a dipendere dagli altri per ciò che riguarda la definizione del valore come persona e delle capacità; una ricerca continua del consenso degli altri, uno scarso spirito di iniziativa ed una scarsa disponibilità a rischiare; la tendenza a reagire d’impulso; la mancanza di un progetto di vita personale; una vulnerabilità ai disturbi d’ansia; uno stile comportamentale passivo. Tutti questi elementi possono contribuire al mantenimento di un basso livello di autostima. All’opposto chi ha un’autostima eccessiva si mostra come una persona orgogliosa, estremamente testarda e sicura di sé e, come conseguenza, incapace di vedere i propri errori e gli eventuali comportamenti alternativi; in questo caso si parla di autostima ipertrofica. Nei casi estremi diventa presunzione, disprezzo per l’altro, superiorità; tutte caratteristiche del disturbo narcisistico di personalità. Occorre notare che, talvolta, la bassa autostima è proprio mascherata (nel tentativo di compensarla) da atteggiamenti sprezzanti, altezzosi e arroganti. La struttura di personalità delle persone con bassa autostima è comunque spesso problematica. Sono molto frequenti dipendenza affettiva, insicurezza, indecisione ma, anche, veri e propri sintomi di disturbi dell’alimentazione, dell’umore o d’ansia. Nei casi più estremi di bassa autostima, spesso si ha a che fare con veri e propri disturbi di personalità, come il disturbo dipendente. In generale, il miglioramento dell’autostima è una premessa fondamentale per il benessere psico-sociale della persona. L’intervento psicoterapeutico cognitivo comportamentale permette di lavorare sugli ostacoli che concorrono allo sviluppo e al mantenimento di un buon livello di autostima: paure irrazionali, pensieri disfunzionali e stile comunicativo inefficace. Le paure irrazionali (a es. “Offenderò qualcuno”, “Non voglio creare problemi”, “Gli altri mostreranno disapprovazione se mostrerò la mia rabbia”…) abbassano il livello di autostima e influiscono negativamente sul proprio stile di relazione che diventa passivo. Con il passare del tempo, l’accumulo di insoddisfazione e di frustrazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi auspicati, che alimenta la bassa autostima, può portare ad una manifestazione impulsiva di rabbia con modalità di relazione aggressiva. Entrambi questi comportamenti risultano essere disfunzionali rispetto all’obiettivo di sviluppare relazioni chiare, assertive e funzionali al raggiungimento degli obiettivi.
mancanza di assertività
L’Assertività è la capacità di esprimere i propri sentimenti, di scegliere come comportarsi in un determinato momento/contesto, di difendere i propri diritti, di esprimere serenamente un’opinione di disaccordo quando lo si ritiene opportuno, di portare avanti le proprie idee e convinzioni, rispettando, contemporaneamente, quelle degli altri.
La struttura concettuale dell’ assertività è basata sulla funzionalità di 5 livelli, ognuno dei quali ne definisce un aspetto:
- Il primo livello è costituito dalla capacità di riconoscere le emozioni, il cui obiettivo riguarda l’autonomia emotiva e la percezione delle emozioni.
- Il secondo livello è costituito dalla capacità di comunicare emozioni e sentimenti, anche negativi, attraverso molteplici strumenti comunicativi e riguarda la libertà espressiva.
- Al terzo livello troviamo la consapevolezza dei propri diritti e la capacità di avere rispetto per sé e per gli altri;
- Al quarto livello la disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri, che implica la stima di sé e la capacità di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza.
- Il quinto e ultimo livello è quello relativo alla capacità di autorealizzarsi e poter decidere sui fini e gli scopi della propria vita: per raggiungere tale obiettivo è necessario possedere un’immagine positiva di sé, fiducia e sicurezza personale.
Una condizione dell’assertività è, dunque, la capacità di saper riconoscere i meriti propri e quelli altrui, ovvero esprimere e chiedere apprezzamenti legittimi. Ogni apprezzamento costituisce un segnale di riconoscimento.
L’assertività può esprimersi a livello comportamentale lungo un continuum che va dalla “passività” all’“aggressività”, i comportamenti che si situano agli estremi del continuum risultano disfunzionali e non in grado di esprimere un comportamento propriamente assertivo, per questo vengono definiti stili anassertivi. La differenza basilare tra Stili Assertivi e Anassertivi, infatti, sta nel fatto che l’assertività è fondata su rispetto e autoresponsabilità, fattori assenti nell’anassertività. Il soggetto con un Comportamento Assertivo è colui che è capace di avere un atteggiamento positivo verso se stesso e verso gli altri e di riconoscere, rispettare ed esprimere i propri bisogni nel rispetto di quelli altrui. Quando mancano, invece, la fiducia in sé e nell’altro e il rispetto verso se stessi e gli altri, è molto più probabile che le persone reagiscano a una particolare situazione con modalità Non-Assertive. Il livello di autostima, infatti, sembra essere direttamente proporzionale al livello di assertività che si riesce a mettere in gioco nei confronti degli attori sociali con i quali ci si relaziona. Essere capaci di dar valore ai propri bisogni ed esprimerli in maniera adeguata senza lasciarsi invadere dalle necessità e dalle opinioni dell’altro o senza il bisogno di imporli a tutti i costi, ci permette di percepirci come persone consapevoli e integre, piene di valore e centratura. Inoltre mettere in atto un comportamento assertivo stimola l’Assertività dell’interlocutore e promuove un feedback relazionale positivo, nutriente per la propria autostima e utile a migliorare la percezione dell’immagine di sé. Comportarsi in modo assertivo vuol dire bilanciare i bisogni degli altri con i propri. È un gioco a due a variabile zero, in cui non c’è uno sconfitto e un vincente, ma entrambi gli interlocutori della relazione sono vincenti. I bisogni di entrambi vengono tenuti in considerazione e si può scegliere se dare la priorità alle necessità altrui o se considerare maggiormente le proprie necessità. Gli stili di comportamento possono quindi essere definiti aggressivi, passivi o assertivi: chi si situa all’estremo aggressivo del continuum si mostra concentrato sui propri desideri, ha la tendenza a dominare gli altri e l’unico obiettivo che si pone è il potere personale e sociale. Il suo stile espressivo è inequivocabile: tono autoritario, ritmi rapidi, tendenza a sovrapporsi all’interlocutore, accuse, domande calzanti. Chi invece si situa all’estremo passivo del continuum asseconda gli altri per evitare il conflitto e subisce spesso le situazioni senza opporsi. In questo caso lo stile espressivo è ricco di affermazioni vaghe e incompiute e frequenti, quali richiami ai propri doveri e le espressioni di giustificazione e di autocommiserazione. Sembra che entrambi gli atteggiamenti, Aggressivo e Passivo, abbiano un elemento in comune: la paura che il proprio pensiero o bisogno non venga riconosciuto e accolto, che la propria persona non venga accettata e valorizzata. I comportamenti che si mettono in atto sono diversi, ma entrambi compensatori: la persona Aggressiva si mostra ostinata e giudicante, mentre la persona Passiva appare compiacente e dipendente dal giudizio altrui. Lo stile manipolativo è un’interessante variante di stile Non-Assertivo che mescola aspetti di entrambi gli stili che si situano agli estremi del continuum. Lo stile manipolativo, infatti, è caratterizzato da comportamenti di tipo passivo-aggressivo: le persone che manifestano questo stile di comportamento utilizzano una modalità di comunicazione e interazione interpersonale indiretta, che gli permette di esprimere passivamente l’aggressività. Spesso si riscontra in soggetti con bassa autostima, poco espansivi, che nutrono forti emozioni di rabbia non espressa (o che credono non sia lecito esprimere liberamente). L’obiettivo comunicativo non è mai esplicitato o condiviso con l’altro, ed è perseguito attraverso metodi come l’ironia o i discorsi allusivi. Sebbene le persone non siano mai sempre e solo aggressive, passive o assertive, ciascuno di noi protende verso un determinato stile relazionale o tende ad adottarlo in particolari circostanze esterne o interne. La stessa persona può essere, infatti, remissiva e passiva con i propri genitori ma, allo stesso tempo, aggressiva con il partner o con i propri figli. Gli stili comunicativi, pertanto, si riferiscono a comportamenti e non a strutture di personalità e come tali possono essere appresi e modificati. Lo stile comunicativo stesso, inoltre, può differenziarsi sulla base di alcune variabili insite nella situazione specifica o relative allo stato psico-fisiologico della persona in un determinato momento. Un esempio di ciò può essere costituito dal silenzio, il cui valore assertivo, aggressivo o passivo è strettamente vincolato alla situazione specifica.
Uno stile comportamentale passivo porta la persona ad arrendersi al volere altrui e a reprimere i propri desideri, compiacendo l’altro in cerca di approvazione e benevolenza. Tale comportamento può essere mantenuto da un dialogo interno disfunzionale che incide sulla paura di irritare gli altri, sulla paura di essere rifiutati o sul sentirsi responsabili dei sentimenti altrui, fino a ipotizzarsi responsabili delle sofferenze altrui per aver ferito l’interlocutore con le proprie parole, non aver ricambiato i sentimenti o aver disatteso le sue aspettative, pervenendo difficilmente alle cause della sofferenza nel comportamento altrui. Le motivazioni o scopi che sostengono un simile comportamento sono di solito quelli di essere accettati e giudicati positivamente dagli altri, quello di evitare abbandoni, quello di evitare i conflitti, per la convinzione di non saperli gestire o per il timore delle conseguenze, quello di evitare rimproveri, disprezzo e colpevolizzazioni, quello di evitare le responsabilità, quello di ottenere con più facilità la simpatia e l’approvazione da parte degli altri, ecc. Le principali convinzioni e credenze che sostengono tale comportamento possono essere “non sono in grado di ottenere i risultati sperati”; “se perdo il controllo mi comporto in modo inappropriato”; “i desideri/bisogni altrui sono prioritari rispetto ai miei”. A lungo termine questo comportamento può comportare progressivamente la perdita della stima di sé e del senso di efficacia personale, frutto della rinuncia prolungata a se stessi in favore dei bisogni altrui. Può, inoltre, comportare risentimento, frustrazione e rabbia verso desideri e obiettivi non realizzati, irritazione, sensi di rabbia crescenti e percezione di repressione. Il comportamento anassertivo di tipo aggressivo si realizza nel momento in cui la persona, per raggiungere i propri obiettivi, e ottenere la propria gratificazione si afferma con violenza, minimizzando, calpestando o disconoscendo il valore altrui. E’ presente la difficoltà nel considerare punti di vista diversi dal proprio e una percezione di non essere mai in errore. In tale caso i fallimenti vengono attribuiti all’esterno, quindi alle circostanze o agli altri, compare una svalutazione dell’altro, rigidità, inflessibilità rispetto alle sue posizioni, ed incapacità nel distinguere le opinioni dalla realtà oggettiva. La risposta che ne determina risulta essere imprevedibile, espressiva, sproporzionata rispetto allo stimolo, inadeguata e causa di sensi di colpa, espressione di ostilità o rancore; tali emozioni si possono realizzare nell’invasione dello spazio vitale altrui, nell’umiliazione o nel disprezzo. Le motivazioni o scopi che sostengono un simile comportamento sono di solito quelli di dominare sugli altri, giudicati inferiori; quello di essere riconosciuto come essere unico e speciale; quello di evitare di essere alla mercé di altri e quello di evitare di apparire vulnerabile. Anche il comportamento anassertivo aggressivo viene mantenuto da vantaggi a breve e a lungo termine. Uno tra i maggiori vantaggi a breve termine è caratterizzato dal soddisfare i propri bisogni in un breve arco di tempo, la persona può avere la percezione di controllo della situazione, di forza ed apprezzamento all’esterno. Anche nel caso del comportamento aggressivo nel breve termine attraverso tale comportamento viene ridotta l’ ansia legata al timore di non riuscire ad ottenere il soddisfacimento ai propri bisogni, dando all’esterno l’immagine di forza. Un ulteriore fattore di mantenimento del comportamento è, infatti, costituito dal rinforzo sociale, dato dalla percezione di apprezzamento perché capaci di ottenere quanto desiderato. A lungo termine si può verificare un progressivo isolamento sociale oppure i rapporti interpersonali che la persona intrattiene possono essere caratterizzati da inimicizie, rancore, sudditanza psicologica. La persona aggressiva è talmente irritante da provocare negli altri rigetto, reazioni violente oppure sottomissione e annullamento, con conseguente logoramento e impoverimento delle relazioni interpersonali, fino al completo isolamento. Il soggetto può, dunque, percepire di non essere accettato, di essere in pericolo oppure di dover lottare contro gli altri per mantenere la propria supremazia. Al comportamento aggressivo è direttamente riferibile stanchezza e stress poiché tale comportamento implica il costante monitoraggio delle azioni altrui e l’incessante lotta per imporre il proprio valore.
problemi di comunicazione efficace
La comunicazione intenzionale è efficace quando:
“l’Emittente riesce a formulare con chiarezza il suo Pensiero ed esprimerlo in un Messaggio che lo rappresenti fedelmente, mentre il Ricevente ne ricava un significato che è il più possibile aderente a quello voluto dall’emittente”.
Possiamo individuare già 3 Livelli o Momenti in cui si possono verificare criticità nella comunicazione:
- Livello del Pensiero dell’Emittente: quando chi vuole veicolare un messaggio sceglie il concetto da esprimere e le parole con le quali esprimerlo
- Livello dell’Emissione del Messaggio: le parole che vengono usate per esprimere il messaggio:
- Contesto in cui si inseriscono le parole usate;
- Elementi Non Verbali che accompagnano le parole.
- Livello del Ricevente: la fase in cui le parole dette vengono ascoltate e interpretate
Quindi è importante conoscere come comunichiamo, attraverso l’attenzione alle parole che usiamo e agli aspetti non verbali della nostra comunicazione (il tono di voce, la gestualità, pause e velocità dell’eloquio, prossimità fisica, agitazione ecc), e chiedendo all’altra parte conferma per vedere se il messaggio è stato recepito correttamente o se ci sono stati elementi che hanno indotto una distorsione del messaggio o un malinteso.
Livello dell’Emittente: È importante, quando si vuole mandare un messaggio a qualcuno, avere chiaro il concetto o il pensiero che si vuole veicolare ed esprimerlo in maniera chiara e non ambigua: se non si sa bene cosa si vuole dire e dove si vuole andare a parare, è meglio chiarirsi le idee e aspettare, e parlare soltanto quando si hanno le idee chiare. È utile anche imparare a essere consapevoli di come si comunica: le parole che si usano, le modalità e il contesto che si scelgono per comunicare.
Questo significa fare attenzione a:
- scegliere le parole: meglio usare un linguaggio chiaro e semplice perché l’altro comprenda più facilmente quello che vogliamo dire. Inoltre, è bene considerare anche il contesto in cui avviene la comunicazione perché alcune parole potrebbero essere inadatte.
- esprimere il concetto con chiarezza e completezza, senza lasciare spazio alle libere interpretazioni da parte dell’ascoltatore, né pretendere che comprenda “intuitivamente” quello che vogliamo dire. La lettura del pensiero lasciamola agli spettacoli di magia.
- fare attenzione agli elementi non verbali della comunicazione, che potrebbe inficiare il valore del messaggio verbale (ad esempio, dire “non sono arrabbiato” alzando la voce e agitando i pugni…). Questo accade quando si è in conflitto su cosa fare, e si rischia di dire qualcosa di cui non si è pienamente convinti.
Cosa favorisce la comunicazione a questo livello?
Parlare in prima persona. I “messaggi-io” sono quelli che iniziano con IO e facilitano la comprensione poiché si fondano sulla comunicazione sincera di un proprio stato d’animo, e aprono alla condivisione, incoraggiando anche l’altro ad aprirsi. I “messaggi-tu” sono quelli che iniziano con TU, e spesso contengono accuse e colpevolizzazioni che inducono l’altro a mettersi sulla difensiva invece di aprirsi. I “messaggi-si-dovrebbe” indicano impersonalmente cosa si dovrebbe o meno fare, dire o pensare e deresponsabilizzano colui che li usa. L’uso dei “messaggi-io” è molto utile quando si richiede un cambiamento all’altro, o si vuole manifestare una propria esigenza poiché apre all’ascolto e insegna qualcosa di sé all’altro.
Preferire il linguaggio descrittivo al linguaggio emotivo. Il “linguaggio emotivo” è caratterizzato da toni drammatici ed intensi, ed è colorito ed appassionato. Contiene parole “forti” che esprimono emozioni, ed elementi non-verbali vivaci e teatrali. Viceversa, il “linguaggio descrittivo” è più lucido, chiaro e razionale e ricorre ad affermazioni semplici, emotivamente neutrali e chiare. Ecco un esempio di come si possa dire la stessa cosa utilizzando le due diverse modalità: Linguaggio Descrittivo: “stasera a cena hai parlato poco”: Linguaggio Emotivo: “stasera a cena non ti sei degnato di una sola parola. Sei stato pessimo, era evidente che ti stavi annoiando da morire”.
Utilizzare uno stile Assertivo, piuttosto che Passivo o Aggressivo. Lo stile assertivo è la terza via oltre allo stile passivo e quello aggressivo. L’assertività può essere definita come la capacità di mantenersi concentrati su di sé esprimendosi in maniera ferma, ma senza aggredire, giudicare o offendere l’altro, al fine di mantenere aperto il flusso della comunicazione e trovare una soluzione positiva per entrambi. La comunicazione assertiva è utile nella gestione dei conflitti.
Livello del Ricevente: Il ruolo del ricevente nella comunicazione, è cruciale: infatti, il modo in cui questi percepisce il messaggio e partecipa a manifestare all’emittente attenzione e interesse, giocano un ruolo importante per una comunicazione efficace. Un buon ascoltatore infatti, facilita il dialogo e comprende meglio il messaggio che gli viene dato da chi parla, permettendo uno scambio attento e “pulito”.
Cosa impedisce un buon ascolto?
- Essere assorbiti da bisogni/urgenze personali: questo atteggiamento mentale impedisce di ascoltare realmente, poiché si resta concentrati sui propri bisogni e sulle urgenze (a esempio, pensare a come controbattere, alle domande da fare, a ciò che ci ha fatto arrabbiare, ecc). Per ascoltare occorre essere interessati a ciò che si ascolta e non solo a se stessi.
- Nutrire pregiudizi sull’emittente: se si è convinti che sia inutile o persino dannoso ascoltare, o si pensa che tanto non ci sia nulla più da sapere, non si pone attenzione all’ascolto. Inoltre, spesso i preconcetti portano a comprendere il messaggio in maniera distorta o parziale.
- Le emozioni provate: in alcune situazioni, le emozioni che sorgono durante l’ascolto possono essere tanto forti o dolorose da compromettere la capacità di attenzione.
Cosa favorisce un buon ascolto? Per imparare a diventare degli ascoltatori migliori, occorre imparare alcune semplici cose a proposito dell’ascolto “attivo”:
- L’interesse reale e sincero: presupposto fondamentale all’ascolto attivo;
- Non ascoltare “per forza”: se non si è in vena di ascoltare con la dovuta attenzione è meglio dirlo apertamente, chiedendo disponibilità a parlare in un momento più adeguato; in tal modo si dimostra interesse e rispetto per l’altra persona;
- Mostrare interesse: durante la conversazione non bisogna dedicarsi ad altro. Occorre ascoltare e manifestare il proprio interesse attraverso domande ben poste e senza interrompere, guardando l’interlocutore negli occhi, restando tranquilli;
- Chiedere chiarimenti: se non si è capito bene qualcosa, è meglio chiedere che costruire malintesi sempre più grandi;
- Verificare se si è capito: la tecnica della “parafrasi” è sempre utile quando si comunica. Consiste nel ripetere e formulare con altre parole ciò che l’altro ha appena detto, per vedere se si è capito o no il concetto;
- Non interrompere: occorre controllare la tendenza ad interrompere con domande, affermazioni, chiarimenti personali. Imparare ad aspettare per dire la propria e porre domande, solamente quando l’interlocutore ha finito;
- Non cambiare discorso: cambiare discorso mentre l’altro parla indica disagio, disinteresse, mancanza di rispetto. Meglio evitare e lasciare che sia l’altra persona a farlo se necessario;
- Niente “Lettura del Pensiero”: non bisogna saltare subito alle conclusioni nella convinzione di sapere già ciò che l’altro vuole dire, perché potrebbero essere completamente sbagliate. Non si è nella testa degli altri e, anche se si pensa di sapere già tutto, è sempre bene assumere l’atteggiamento umile di colui che ascolta per capire.
I Problemi di Autostima, Assertività, Comunicazione Efficace sono trattati dalla Dott.ssa Silvia Celestini. Per info
- Fisso: 0761347138
- Mobile: 392/9594263
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